“L’esistenza quotidiana è sempre cosmica…Tutto è connesso”, scrive papa Francesco nell’Esortazione apostolica che fa seguito ai lavori del Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre dello scorso anno.
Francesco riprende l’immenso respiro della sua Enciclica “Laudato Si'” ( che rappresenta -scrivevano Edgar Morin e Zygmunt Bauman- il primo passo verso una civiltà nuova ), e torna a proporre profeticamente alla chiesa di farsi soggetto planetario di una Conversione ecologica ( è l’espressione coniata da Alex Langer), che nell’Esortazione il papa declina suggestivamente come “sogno ecologico”, capace di collegarsi intimamente al sorprendente “segno dei tempi” della nuova sensibilità ecologica della generazione di Greta, di Malala, di Rackete, di Licypriya.
E’ un’altra preziosa ciambella di salvataggio che Bergoglio lancia (collegandosi direttamente alla grande tradizione cristiana di Francesco e di Benedetto), a una chiesa in tempesta, nonostante i suoi gerarchi lo stiano sempre più isolando.
Il messaggio di Francesco qui è estremamente interessante, in quanto l’ecologia integrale rappresenta la chiave di volta per ridare ordine e un futuro al mondo, non solo perché raccoglie il grido della Terra e dei Popoli oppressi (divenuto insostenibile), ma perché lo salda strettamente con la critica radicale della tecnocrazia (che è la causa prima di quel grido e del disordine mondiale) e lo intreccia “in prospettiva”con la nuova sensibilità ecologica dei giovani (che rappresentano tout court il futuro del mondo, nonché della chiesa) e della parte migliore del mondo scientifico, e “in retrospettiva” con la grande sapienza della tradizione dell’umanità, che oggi sopravvive nella cultura dei popoli originari.
La “Laudato Si” rappresenta la Magna Charta di questa nuova visione.
Attingendo ai lavori del Sinodo, il papa scrive: “La Terra ha sangue e si sta dissanguando perché le multinazionali hanno tagliato le vene alla nostra Madre Terra” (n.42); parla “dell’acqua che scorre e traccia un solco vibrante nella pelle antica della pietra”(45); cita i poeti popolari, stupefatti della danza di delfini, anaconda, alberi e canoe nel Rio delle Amazzoni; e chiosa:”Questi poeti, contemplativi e profetici, ci aiutano a liberarci dal paradigma tecnocratico e consumista che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza realmente dignitosa”(46). Poi, con Vinicius de Moraes, conclude:”Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce, potrà salvare questo mondo”(ivi).
Ma, attenzione, la poesia di cui si parla non ha niente a che vedere con l’intimismo sentimentalistico, o con la decorazione estetizzante, o con lo sfinimento romantico. No, essa è (com’è sempre stata, del resto, la grande poesia) ermeneutica della realtà, e il cuore della sfida culturale del nostro tempo sta nella capacità di costruire un serrato dialogo tra filosofia, scienza, teologia e poesia. Creare cioè quella nuova cultura che -scriveva Francesco nella “Laudato Si'”- ancora manca.
La poesia, in più, ha con sé la potenza mitopoietica, e cioè la forza fondante del mito. E senza una nuova mitologia non potremo “rifare l’esperienza della vita sulla Terra” (a questo punto siamo), come osservava Raimon Panikkar.