Epidemia di Coronavirus, genocidio a Idlib (nel nord-ovest della Siria), e suicidi dei bambini nell’isola greca di Lesbo sono le tre tragedie emergenti di una contemporaneità che ha dimostrato di non saper fare in alcun modo tesoro delle tragedie della modernità.

L’epidemia da coronavirus, che si avvia rapidamente a diventare pandemia, non ha ancora raggiunto, alla luce di tutti i parametri conosciuti, il suo acme, e si teme in particolare il contagio dell’Africa. Rimane, insomma, una sfida grave (si pensi che persino all’Eremo di Camaldoli sono giunte cancellazioni di prenotazioni), se anche papa Francesco ha dovuto accettare lo slittamento di un incontro mondiale così importante come l’evento di “Economy of Francesco” ad Assisi, da fine marzo a fine novembre di quest’anno. E dunque occorre da parte di tutti noi di assumere il massimo del senso di responsabilità, senza però cedere in alcun modo al panico.

Ma, pur rimarcando la gravità della nuova pandemia (che colpisce e preoccupa addirittura gli eremiti), siamo costretti a riconoscere che il dramma di Idlib, che le varie potenze (direttamente interessate o meno) cercano di tenere in ombra, con la marea montante di profughi che si riversano in Turchia e da qui proditoriamente inviati in Europa, attraverso la Grecia e Lesbo, ha dimensioni di ancor maggiore gravità, perché siamo in presenza del più recente genocidio di una storia già stracarica di genocidi e di pulizie etniche. Abbiamo celebrato da poco l’anniversario della Shoah, ma nulla è cambiato, considerato che il nazi-fascismo e il razzismo contro gli ebrei e contro gli immigrati sono in crescita un pò ovunque.

Il coronavirus passerà, ma il fenomeno non emergenziale dell’immigrazione resterà, ha giustamente osservato Emma Bonino.

Ed espressione estrema della tragedia delle migrazioni è il dramma, assoluto e indicibile, dei suicidi tentati a ripetizione dai bambini rinchiusi nel campo per immigrati di Lesbo. Stupenda isola dell’Egeo, quasi attaccata alla costa turca, dove il paradiso (esiste un bel sito a documentarlo, che si chiama “Io amo le isole greche”) – per una crudele ironia della storia – convive con l’inferno di ventimila immigrati (cresciuti a 40 mila negli ultimi due giorni, dopo la cinica e ricattatoria decisione di Erdogan di inviare i profughi in Europa), detenuti in condizioni di gravissima disumanità nel campo di Moria, costruito per contenere al massimo tremila persone.

Da lì, mancanti del minimo per vivere, e sommersi dal fango, gli adolescenti ma anche i bambini provano a evadere nell’unico modo possibile, suicidandosi, i più grandi tentando l’impiccagione, i più piccoli (anche di 9 anni) cercando di fracassarsi la testa contro una roccia, o saltando dai dirupi o tagliandosi le vene.

Non ci sono parole per commentare una cosa così atroce. Sembra davvero, questa sì, la fine della storia, rappresentando in modo inequivocabile il suicidio dell’umanità. Non si illudano i grandi potentati della tecnocrazia, e le grandi e piccole potenze geopolitiche, se a desiderare di morire sono in fondo i più fragili rappresentanti di quei tre miliardi e mezzo o quattro miliardi di umani già condannati da loro ad essere esclusi dal banchetto della vita, perché questo dramma coinvolgerà, prima o poi, anche i loro nimbi dorati.

E a questo livello si saldano, certamente per vie indirette ma non per questo meno solide, le tre tragedie (senza dimenticare quella climatica, che rimane la dominante), in quanto l’attentato alla vita ha raggiunto ormai il livello più profondo, quello che si perpetra attraverso la mercificazione e la reificazione di tutto, della Natura e dei bambini, fino all’anima dell’uomo, giungendo a ferire Dio.

Da decenni ormai Raimon Panikkar, profeta inascoltato (come tutti i profeti, del resto), aveva individuato le tre catastrofi che, intrecciate, si stanno abbattendo sul mondo: la catastrofe ecologica, la catastrofe economica (il coronavirus ci sta riportando all’inizio della grave crisi finanziaria globale del 2008), e la catastrofe umana. Sono tutte e tre sempre più vicine a noi, come ognuno può constatare di persona.

Se guardiamo in modo approfondito, credo sia questa l’analisi che dobbiamo fare di questi eventi globali, che ci toccano ormai intimamente. Non possiamo più far finta di niente, né possiamo affidarci a partiti e movimenti tradizionali (tutti più o meno inetti), né delegare ad alcunché. Occorre che la nostra umanità, che la nostra anima reagiscano in prima persona.

Mi rivolgo a tutti voi, cari amici, che seguite questo mio Blog (che ha per unico scopo quello di aiutare a risvegliare la nostra consapevolezza in questa difficile post-modernità), per chiedervi di cercare insieme vie nuove, e intraprendere un cammino che possa salvare e far fiorire la Vita, a tutti i livelli.

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