Quella dell’allontanamento da parte di papa Francesco del fondatore ed ex priore di Bose, Enzo Bianchi, dalla sua comunità è una vicenda che ci dà la percezione esatta di quanto la Chiesa, sia al centro che in periferia, sia in una tempesta che non accenna ad attenuarsi. Una vicenda, peraltro ancora avvolta nel buio, che ha coinvolto in un colpo solo, e in un modo che francamente è apparso maldestro e sproporzionato, la Curia vaticana, dal Papa al Segretario di Stato Pietro Parolin, un monaco e una comunità divenuti simbolo di un cristianesimo coraggioso e di frontiera, la stessa Chiesa italiana e il mondo ecumenico internazionale. E non è la prima volta che in questi anni accadono vicende simili di allontanamenti forzati in modi bruschi e drammatici, e non del tutto chiari, che sono segno di una grande tensione esistente all’interno del Vaticano.
Cosa è successo questa volta? Perché il Papa amico di Enzo Bianchi lo ha cacciato dal monastero che aveva fondato nel 1965, dopo un’ispezione durata un mese, e i cui effetti sono deflagrati senza alcun controllo sui media? E perché un atto amministrativo ha dovuto coinvolgere il Pontefice e il suo Segretario di Stato? Non bastava l’autorità della Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica e, a seguire, l’intervento del vescovo diocesano di Biella?
E ancora: è questo che Francesco intende per misericordia? Chi ha costruito la “bomba” mediatica? Si è trattato dell’ennesimo attacco al papa riformatore?
Queste le domande che hanno lacerato molti ambienti ecclesiali e fatto soffrire molte persone.
Ma procediamo con ordine. Procedendo dall’accusa, fatta dai tre ispettori e dalla maggioranza della comunità, di “gravi problemi nell’esercizio dell’autorità” da parte di Enzo Bianchi. Che, nonostante abbia rassegnato le dimissioni nel 2017 da priore, lasciando il posto a Luciano Manicardi, non si sarebbe di fatto astenuto dal guidare la “sua” comunità. Ebbene, credo che queste accuse non siano lontane dal vero, conoscendo da molti decenni Bianchi e Bose, e il forte accentramento, il forte autoritarismo e l’autoreferenzialità con cui ha guidato il monastero, schiacciando a volte con la sua non facile personalità i suoi monaci, in particolare l’ala femminile. Anche il carattere ecumenico della sua fondazione, scelta di sapore conciliare, in quegli anni Sessanta, in definitiva è rimasto più dichiarato che vissuto e sviluppato – nonostante gli importanti rapporti personali che Bianchi intratteneva con i leader cristiani, soprattutto ortodossi. L’ecumenismo in Italia è stata solo Maria Vingiani e il suo Sae, finchè lo guidava lei, in comunanza effettiva ed affettiva di vita e di cammino con il mondo protestate e quello ortodosso. Bianchi ha saputo diventare un personaggio, amato da ampi settori dell’intellighenzia laica e progressista, ed ha saputo moltiplicare le case ed arricchire Bose. Al punto che Bose era di fatto Enzo Bianchi, e poco più, anche dopo le sue dimissioni. E questo, mentre vedevamo il suo carisma, molto forte un tempo, prendere da ultimo e tristemente le forme di quella che Francesco chiama spiritualità mondana.
Probabilmente questo ha ferito papa Francesco.
Ma questa ferita alla comunione fraterna, che sovente si produce nelle successioni ai fondatori, non è un delitto, che avrebbe sì giustificato l’intervento del Papa. E non essendo un delitto, non bastava affidarsi alla procedura normale che passa per la Congregazione competente e per il vescovo diocesano? Il che, peraltro, avrebbe comportato anche il giusto coinvolgimento della Chiesa italiana.
Chi ha soffiato, insomma, sul fuoco e gettato il suo veleno contro un simbolo importante del mondo conciliare e progressista, “accendendo” la reazione del Papa e del Segretario di Stato? Qui rimangono evidentemente ancora zone d’ombra e non si possono indicare dei responsabili tra i tanti che in Vaticano si oppongono al papa profeta, anche se l’area di riferimento è certamente quella dei conservatori, ed è essa ad aver montato lo scandalo e sbattuto “il mostro in prima pagina”.
Anche di fronte al grande schieramento che gli è contrario, Bergoglio – forse – avrà voluto mostrare che lui non guarda in faccia a nessuno, nemmeno ai suoi amici che sbagliano. Ma questo non significa, però, che Enzo Bianchi andasse trattato in quel modo poco misericordioso.
Non da ultimo, regalando ai cinici rappresentanti di una Chiesa anti-conciliare e chiusa su se stessa la soddisfazione di veder colpito un uomo simbolo (comunque importante e rispettabilissimo, nonostante i limiti) di un cristianesimo evangelico, aperto al mondo e in dialogo con le religioni e le culture.