La Via Lattea in una notte africana

Per una nuova Visione e una nuova Mitologia

Note per un dialogo tra fede, filosofia, scienza e poesia
  • Raffaele Luise, Una nuova innocenza. Oltre la Pandemia. Per un altro mondo possibile.

    È un piacere presentare il libro di Raffaele Luise sulla Pandemia. Molti di voi lo conoscono meglio di me come Decano dei Vaticanisti della Rai, come inviato Speciale su fronti più drammatici del mondo, come esperto del dialogo interreligioso e interculturale, come docente in diverse Università italiane e come autore di molti libri, che sono il frutto di tutti questi impegni.  

    Per presentare il suo ultimo libro “Una nuova innocenza” vorrei prendere avvio dalla foto sulla copertina, che spiega già il contenuto del libro. Si vede una bambina, immagine della innocenza, ma gli occhi aperti guardano nel mondo e mostrano domande e preoccupazioni, ma anche sorpresa e  sfiducia.  È una innocenza minacciata e allo stesso tempo un grido, o – come Raffaele Luise dice –  l’invocazione ad una nuova innocenza, ad un mondo diverso da quello che la bimba ha desiderato e trovato, insomma il desiderio di un mondo nuovo. Penso che questa fanciulla rappresenti una domanda e una sfida per noi e per la nostra generazione: “Cosa avete fatto con questa pianeta, della nostra casa comune?”.  

    Il libro disegna un’analisi severa del nostro mondo al  tempo della Pandemia. Inizia con la eco di un mondo vuoto, in un silenzio attonito e surreale, dove prima dei mesi di aprile e maggio pulsava una vita frenetica. Una metafisica dell’assenza – così l’interpretazione dell’autore – come approdo della Modernità al Nulla. Per Luise, la pandemia ha come svelato improvvisamente  questo nulla. Essa ha mostrato la fragilità delle sicurezze, della scienza e della tecnica moderne, della medicina, che finora non ha trovato un vaccino contro un virus sconosciuto e non decifrato; il virus ha anche inciso profondamente su tutti gli aspetti della vita, dal lavoro al divertimento, dalla famiglia e dagli incontri, ai viaggi e al turismo. Tutto fermo, tutto cambiato. 

    Il coronavirus ha infettato i gioielli della Modernità, e pure svelato il fallimento della Modernità, dice l’autore. Anche secondo me, si tratta di una tragedia da paragonare soltanto al terremoto di Lisbona del 1755, che  scosse dalle fondamenta l’ottimismo illuministico per uno sviluppo e un futuro umanistico razionale, e in questo modo decretò la fine di tutta un’ epoca. Oggi, da parte nostra, sperimentiamo che abbiamo distrutto i ritmi e l’ armonia naturali. Al punto che si rende oggi necessaria una nuova fraternità, non solo sociale e civile ma cosmica.   

    Così giungiamo  alla visione positiva, direi all’utopia  che ispira il libro. Raffaele Luise vuole, infatti,  andare più in profondità e aggiunge: “La pandemia segna un prima e un dopo nella storia dell’uomo, e mette di fronte a uno dei più rischiosi riti di passaggio della sua storia.” Passaggio è il termine che significa anche Pasqua, cioè il passaggio dalla morte alla vita, passaggio al sabato non solo degli uomini ma della creatura e della Terra, di cui parla la Bibbia, ovvero – nel linguaggio induista – di un passaggio all’armonia del Tutto (il brahman).  Come testimonia San Francesco d’Assisi, che parla di fratello sole, di sorella luna, di fratello fiume ecc., delineando una fraternità cosmica, una visione umanistica integrale.  

    Raffaele Luise parla di una famiglia universale, dove tutto si tocca, tutto con-vive, una fraternità creaturale olistica, una fraternità che è estesa anche alla natura e al cosmo, e che riconsideri i fondamenti della nostra cultura occidentale e vada finalmente oltre tutti i dualismi ereditari dalla Modernità, e dove il soggetto, l’io, sta di fronte alla natura, considerata come un oggetto. Invece, anche grazie alla scienza, abbiamo capito che tutto è connesso con tutto, che esiste una simbiosi fra tutte le cose, e che noi siamo parte della natura e non più maîtres e possesseurs (maestri e padroni) della natura (come disse Descartes). Il libro parla di un nuovo Patto, di una nuova Alleanza con la Terra, e spinge per il superamento della malattia dell’antropocentrismo assoluto. Ma questo non significa affermare un puro biocentrismo, perchè l’autore distingue (come fa anche il Nuovo Testamento) fra bios e zoé, la vita biologica e la vita profonda e integrale umana, la vita promessa da Cristo.  

    Raffaele Luise, fra gli altri autori, fa riferimento soprattutto a Pannikar e alla sua idea del Cristo cosmico, e in modo speciale alla enciclica di Papa Francesco Laudato sì e alla esortazione Apostolica Querida Amazonia. La enciclica Laudato sì ci ha dato già la road map e la Magna Charta per questa nuova cultura integrale, insieme umana e cosmica.  Ma questa road map chiede una conversione profonda, processi formativi, un nuovo stile di vita ispirato alla sobrietà (da distinguere dalla austerità), vuole un ritmo di vita meno frenetico  ma più intenso, e richiede una nuova solidarietà ecc. Si vede come il libro vada ben oltre una visione puramente ambientalista. Non si tratta di uno sviluppo sostenibile, ma di una svolta sostenibile, di una ecologia integrale.

    Senza dubbio, la visione di Raffaele Luise ci obbliga a pensare. Se la pandemia non è l’ occasione per riflettere in modo critico e creativo, non so che cos’altro debba accadere per spingerci a una  riflessione profonda  per aprirsi a nuovi orizzonti. Rispondere alla crisi solo con la mascherina, con misure di igiene e di distanziamento sociale, quanto necessarie siano, e poi sperare che possiamo quanto prima ritornare allo stato quo ante, è una illusione.  Sono anche d’accordo che bisogna rivedere i fondamenti della nostra cultura moderna occidentale e che abbiamo da imperare molto soprattutto dalla saggezza delle antichissime culture dell’Oriente. Un incontro approfondito con l’Asia costituisce la sfida dell’oggi e di domani.

    Concludo, ora, la presentazione delle tematiche trattate dal libro, sottolineando come nel linguaggio poetico e profetico dell’autore si nasconda tutta una visione, forse anche una utopia di un mondo diverso e nuovo, a cui la bambina della copertira aspira.   

    Ma, in una seconda parte della presentazione, mi sia consentito di aggiungere qualche riflessione più personale. Ciò che segue, beninteso, non vuole essere una critica al libro di Raffaele Luise, ma la presentazione di alcuni aspetti aggiuntivi, che risalgono alla tradizione biblica. Sono tre pensieri. 

    Il primo pensiero è più filosofico: La modernità non è solo Descartes, Kant e un antropocentrismo unilaterale. La modernità sono anche Leibniz e Spinoza, il romanticismo e l’idealismo di uno Schelling e di Hegel, i cui effetti giungono fino al primo Marx e a Bloch e a molti altri, per non parlare della tradizione mistica moderna. E in questo modo possiamo comprendere come la critica della modernità e della cultura unilateralmente tecnologica, economica, capitalista e oggettivante faccia parte della stessa modernità. La soggettività (non da confondere col soggettivismo) e la filosofia della libertà e dei diritti fondamentali umani sono gioielli ereditati dalla modernità, da non da perdere e non dimenticare; anzi, essi sono costitutivi della dignità umana e fondamentali per la sopravvivenza dell’umanità. Nella modernità ci sono, insomma, anche elementi ed energie che possono servire per una rinascita e un rinnovamento della cultura occidentale e che, al tempo stesso, gettano  ponti con la filosofia orientale.    

    Un secondo pensiero è più biblico. Convengo con la critica del dualismo cartesiano che separa il soggetto, ovvero la persona, dalla natura o dal cosmo, che è in contraddizione con la concezione biblica integrale. Tuttavia, la Bibbia non insegna un monismo. La concezione della Bibbia è né dualismo né monismo. Secondo la Genesi, la creazione è un processo che si attua per distinzione ma senza separazione. Il primo capitolo della Genesi distingue cielo e terra, luce e tenebre, la terra e le acque e così via. Ma tutto è connesso, e al tempo stesso tutto è anche distinto. Così la Genesi descrive la creazione e il suo ordine costitutivo. Vale il motto: Sapientis est ordinare (Tommaso Aquino).   

     Per quanto riguarda l’uomo, vorrei menzionare solo il salmo 8, che dice che tutto il mondo risplende la gloria di Dio, e poi aggiunge: Che cosa è l’uomo? “Davvero l’hai fatto poco meno di un dio…Gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi”. Ma questo non va interpretato come permesso di calpestare la natura, bensì come mandato per coltivarla. Natura senza cultura sarebbe foresta vergine e nemica all’uomo. L’uomo fa parte dell’universo, ma secondo la Bibbia egli, al contempo, emerge fra gli altri esseri ed ha il mandato e la responsabilità di custodire la natura, affinché divenga  dimora umana. 

    Lo stesso modello del distinguere senza separare vale anche per il rapporto fra Dio e il cosmo. Dio è presente e onnipresente in ogni cosa. In questo senso si può parlare di un certo panenteismo. Si può trovare Dio in ogni cosa; c’è qualcosa di divino e una sacralità nel cosmo. Ma allo stesso tempo, secondo la Bibbia Dio è assolutamente trascendente e sovrano. Lo stesso concetto della creazione implica una differenza qualitativa ed essenziale fra il creatore, che è assoluto, e la creatura, che in tutto il suo essere è dipendente. Il cosmo esiste solo come partecipazione all`essere divino, ma, d’altra parte, esso ha la sua legittima autonomia. Si può anche dire che la teonomia ha come conseguenza la relativa autonomia creaturale, una autonomia che non è autonomismo, ma  autonomia relazionale. In questo senso, possiamo dire che c’è una parte di verità nella concezione moderna.    

    Un terzo pensiero. La Terra. Sì, l’abbiamo maltrattata e rovinata. Ci vuole una conversione, un patto con la terra. Tuttavia, la terra non è una cosa ingenua; secondo la Bibbia la terra porta spine e cardi.  La speranza di una nuova creatura non viene dalla terra, perché anch’essa è avvelenata. Pertanto, secondo l’ultimo libro della Bibbia, la nuova Gerusalemme e la pace cosmica non verranno dalla terra ma discenderanno dal cielo. E allora Dio sarà tutto in tutti, e in tutte le cose.

    Con questi tre pensieri non ho voluto sminuire la grande concezione e visione del libro di Raffaele Luise, ho solo voluto aggiungere elementi biblici che possano arricchire e approfondire la saggezza orientale con qualche goccia di sobrietà occidentale. La sintesi fra le due sarà ancora un percorso lungo. Siamo ancora all’inizio. Ma ci sono già dei precursori: la filosofia di  Schelling; di Raimon Panikkar; di Pierre Teilhard de Chardin, pur con tutti i suoi difetti, ma riabilitato dal grande Henri de Lubac; e molti altri, senza dimenticare la grande teologia ortodossa, il cui promotore è l’attuale Patriarca ecumenico Bartolomeo I insieme con suo fratello Papa Francesco. Con loro siamo su una buona strada. Il libro di Raffaele Luise ci spinge, di nuovo, ad andare avanti con speranza e con sobrietà per poter rispondere alle domande e ai sogni della bambina che ci ammonisce dalla copertina del libro e della nuova generazione.

    Relazione del cardinale Walter Kasper alla presentazione del mio libro “Una Nuova Innocenza” il 22 ottobre alla Radio Vaticana.

  • A dieci anni dalla morte di Raimon Panikkar. Una profezia più attuale che mai.

    Non dimenticherò mai l’ultima volta che vidi Raimon, il mio Maestro più caro, poche settimane prima della sua morte, nella sua casa del “piccolo Tibet” di Tavertet, nei Pirenei spagnoli, i “monti di fuoco”, come di fuoco era il suo insegnamento. Stava ritto sulla porta d’ingresso, sorretto da Carmen, la sua amorevole governante, e ci salutò, me e Achille, con quello straordinario sorriso in cui si rispecchiava tutta la figura del “mite filosofo dell’Amore”, dell’Amore universale, e cioè cosmoteandrico.

    E proprio l’intuizione cosmoteandrica è il cuore del suo insegnamento: la relazione, cioè, costitutiva e irriducibile della dimensione divina con quella umana e quella cosmica, di Dio Uomo e Cosmo, che caratterizza la Realtà, in ogni sua parte, dal filo d’erba alle stelle, a Dio. La Trinità radicale insomma, che rappresenta la più alta intuizione su Dio e al tempo stesso l’orizzonte più fecondo e denso di futuro della teologia e della filosofia contemporanee. Direi meglio, una via obbligata per qualsiasi “considerazione” (cum sidera, pensare con le stelle) su Dio e il suo “destino”. Un pensiero profetico e per noi irrinunciabile, che ci dice che l’uomo non si realizza, non incontra se stesso, non cresce in sintonia con una Realtà che proprio per essere reale è libera, se non incontra in sè e fuori di sè il divino e il cosmico, che costituiscono in definitiva la sua vocazione e la sua vera natura. Da qui la sua esortazione a fare pace con la Terra, con la Natura e con l’Universo, affermazione che acquista oggi -con l’esperienza della pandemia, che ci ha fatto perdere il mondo- un valore di immensa attualità. Questo, innanzitutto, significa che non esiste una realtà a noi esterna, già data e fissata, che (da Cartesio in poi, passando per Kant, ma già prima con Parmenide) possiamo conoscere con l’ “ermeneutica del cacciatore”, come Raimon ironicamente definiva l’attività conoscitiva che con il pensiero presume di catturare la realtà, divenendone il padre-padrone (Cartesio lo enunciava esplicitamente). E’ vero l’esatto contrario – come non si stancava di ripetere Panikkar- in quanto noi siamo parte costitutiva della realtà, come dimostra da ultimo anche la fisica quantistica, da Heisemberg in poi. E dunque l’ermeneutica non può essere che “partecipativa”, secondo quel dinamismo di “conoscenza e amore” sviluppato in particolare dall’ induismo, in specie nella “Baktimarga”. Ne discende che la scienza e la sua applicazione tecnologica dovrebbero riacquistare quella dimensione sapienziale che fino a Galilei e a Cartesio custodiva e guariva l’umano, invece di aggredirlo fino a mutarlo in quell’ibrido -il cyborg- che sta dolorosamente prendendo forma. Occorre cioè cambiare radicalmente la direzione autodistruttiva presa dalla cosiddetta civiltà tecnoscientifica (e che letteralmente ci aliena) e rifare, come diceva questo “profeta del dopodomani”, la nostra esperienza terrestre!

    Ora, questa medesima prospettiva, quasi del tutto ignorata dalla cultura contemporanea, è stata invece ripresa da papa Francesco, che nella “Laudato si’ ” imputa al paradigma tecnocratico la distruzione della Natura e il drammatico impoverimento dei due terzi dell’umanità. Nell’Enciclica, il papa latinoamericano parla esplicitamente della Trinità che è presente in ogni parte del Creato, evocando la Trinità radicale di Panikkar. Tutto è vivo -scrive Francesco- tutto si tocca e convive in una unica Famiglia universale. E come con il pensiero di Panikkar, così anche di fronte a questa Enciclica rivoluzionaria il mondo culturale (anche ecclesiastico) è rimasto inerte e afasico, nonostante due intellettuali non credenti, della caratura di Edgar Morin e di Zygmunt Bauman, l’abbiamo definita “il primo passo di una nuova civiltà”. E che questa sia la giusta direzione da intraprendere, lo dimostra da ultimo lo stesso pensiero scientifico più avanzato. E’ di questi giorni la pubblicazione di un importante libro del fisico quantistico Carlo Rovelli, in cui si afferma che:”La realtà è un pò meno reale di quanto ci appare, avendo la fisica quantistica distrutto l’immagine della realtà fatta di particelle che si muovono lungo traiettorie definite (…) dove la materia nel suo insieme è rimpiazzata da fantasmatiche onde di probabilità”: Insomma -osserva lo scienziato- si tratta di una “realtà più sottile di quella del materialismo semplicistico delle particelle nello spazio. Una realtà fatta di relazioni, prima che di oggetti”. Ebbene, tutto questo Panikkar lo aveva affermato già a partire dagli anni Settanta, in un contesto ben più ampio e strutturato (si veda il mio “Raimon Panikkar-Profeta del dopodomani”, ed. San Paolo, in specie alle pp. 73-102), giungendovi alla fine di un lungo percorso in cui aveva fatto dialogare in profondità le antiche sapienze dell’Oriente e dell’Occidente, in particolare il buddhismo, l’induismo e il cristianesimo. Facendo genialmente interagire i linguaggi simbolici nella cornice aperta di una comprensione che integra il sapere razionale del Logos in quello superiore del Mythos, con un approccio che armonizza conoscenza e amore. Da notare che lo stesso Rovelli, in un altro intervento, ha riconosciuto come la visione scientifica abbia una straordinaria assonanza con la visionarietà della poesia. E così, mentre Panikkar rimane profeta inascoltato (e colpevolmente quasi sconosciuto), continua con cadenza quotidiana lo sterile lamento di filosofi e intellettuali che in vario modo ripetono quanto Heidegger scriveva già nel 1929:” Non abitiamo più la Terra, abitiamo la tecnica, che ci domina”. Eppure, da più di mezzo secolo, Panikkar ha indicato la soluzione a questa cruciale questione in un radicale cambiamento di visione, in cui consiste l’intuizione cosmoteandrica, capace di far tornare la tecnoscienza nell’alveo dell’umano e di una più generale cura della Vita, come suo strumento di crescita e non come sua coercizione e distruzione.

    La verità è che abbiamo ereditato dalla filosofia e dalla scienza dell’8-900 un mondo assurdo, dove la realtà appare come massa inerte, un magazzino cui infinitamente attingere, e dove fra tutte le specie solo noi saremmo dotati di coscienza e di anima.

    Ma sta germogliando, per fortuna, una sensibilità nuova, anche grazie al profetico pontificato di Francesco, che per tanti versi si conferma papa panikkariano (Bergoglio conobbe di persona Raimon in Spagna e ne ebbe una grande impressione). Tutto panikkariano è, ad esempio, il magistero di Francesco sul dialogo (usa perfino le stesse espressioni), e profondamente panikkariana è l’ispirazione della “Laudato si'”, che evoca persino la Trinità radicale (paragrafi 239-240) e afferma che tutto è una sola Famiglia universale (n.89). Anche la nuova Enciclica “Fratelli tutti” sulla Fraternità universale (che sarà frmata non a caso ad Assisi la sera del 3 ottobre, vigilia della festa di san Francesco), non solo riprenderà la forte “Dichiarazione di Abu Dhabi”, ma in linea con la “Laudato si”, svilupperà il tema della fratellanza cosmica con tutti i viventi, anche in risposta alla drammatica sfida della Pandemia. Per tutta l’estate, nelle sue solitarie udienze generali sul tema di “Guarire il mondo”, Francesco ha sviluppato una riflessione potente -come una sorta di architettura di pensiero spirituale politico sociale ed ecologico- su come debba essere il mondo del post-coronavirus; riflessione fondata, appunto, sulla nuova visione di una fraternità che abbracci, custodisca e rispetti, tutti i viventi, a partire dagli ultimi e dagli scartati, sia gli umani: il numero dei poveri cresce drammaticamente in un mondo sempre più disuguale; sia le creature vegetali e animali, anch’esse spaventosamente falcidiate: si calcola che negli ultimi cinquant’anni sia scomparso il 60% di esse.

    In un mondo che segue una direzione ostinatamente contraria alla sua vocazione, e non a caso sempre più triste, pericoloso e impaurito, quando penso al caro Maestro indo-spagnolo mi illumino e riprendo coraggio, perchè nel suo straordinario insegnamento Raimon Panikkar si pone (o meglio si porrebbe) come la guida ideale nel passaggio delicatissimo che dovrebbe portarci dal non più sostenibile Antropocene (divenuto ormai biocidio e antropocidio) alla nuova era dell’ Ecozoico, dove con “eco” noi, panikkarianamente, intendiamo ben più dell’ecologico: l’ecosofico. Parola coniata da questo stupefacente Maestro della parola, per dire che la “casa” dei viventi è essa stessa viva e possiede la sua propria saggezza e la sua anima: l'”anima mundi”.

    (Mio articolo, uscito su “l’altrapagina”, ottobre 2020)

  • Coronavirus e Modernità

    La pandemia di coronavirus rivela il fallimento della modernità su due versanti: la presunzione di un progresso infinito e l’incapacità di prevedere le conseguenze delle radicali innovazioni tecnologiche. Siamo sempre meno padroni della tecnica, e sempre più suoi strumenti passivi. Scriveva il filosofo Gunther Anders, una trentina di anni fa, che se fino allora la domanda centrale era: che ne facciamo della tecnica, ora è la tecnologia che si chiede: cosa ne facciamo degli uomini?

    Come si esce, allora, dalla sfida del coronavirus? Intanto, possiamo preliminarmente osservare che quella della pandemia in corso (dopo tutte le altre degli ultimi 100 anni) come, su un altro piano, quella della gravissima crisi finanziaria globale del 2007, costituisce un’ importante opportunità per una radicale revisione della nostra visione del mondo e del paradigma tecnocratico che ispira l’Ordine economico-sociale-politico che (s)governa la modernità. Ma, come è accaduto per la crisi finanziaria (rimasta senza risposta), così anche per la pandemia di coronavirus, non appronteremo una risposta adeguata a questa e a tante altre possibili pandemie future, se non cambiamo la nostra visione dell’uomo, immaginando un nuovo umanesimo, che sia finalmente integrale e cosmico, oltre ogni antropocentrismo assoluto con il corredo dello spirito di potenza che ha contraddistinto l’era e i guasti globali dell’Antropocene. C’è bisogno di una nuova concezione dell’umano, che ne accolga la “fragilità” come ricchezza e forza costitutive, e come capacità di legare visibile e invisibile. La fragilità non richiama una cultura della morte, come dice Scurati, ma è cultura della vita, di cui la morte è parte.

    Ma questo umanesimo deve avere una caratura cosmica, e abbracciare olisticamente e armoniosamente tutte le creature, perché tutto si tocca (lo dice anche la fisica quantistica) e tutto è parte di una unica famiglia universale, che condivide lo stesso destino (come scrive papa Francesco nella sua “Laudato Si'”). Va cambiata radicalmente, in prospettiva, la nostra visione della realtà, che riduce a merce e cosifica l’uomo, la natura e il mondo (e anche Dio). C’è bisogno, insomma, di ripensare radicalmente il rapporto Dio-Uomo-Mondo, e di rifare -come sosteneva Raimon Panikkar- l’esperienza umana sulla terra.